A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE III IN SEDE GIURISDIZIONALE, SENTENZA N. 614 DEL 07.12.2023 DEPOSITATA IL 19.01.2024

La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 614 del 07.12.2023 depositata il 19.01.2024, richiamando una ormai consolidata giurisprudenza amministrativa (tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2023, n. 5964; Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2023, n. 5024; Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8882; Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105; Cons. Stato, Sez. III, 20 febbraio 2019, n. 1182), ha affermato che l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

La questione sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato trae origine da una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria che aveva respinto il ricorso proposto dalla società (…) avverso un’informativa interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Catanzaro a fronte di una serie di elementi indiziari ritenuti espressivi di rischio di condizionamento mafioso. La società (…) aveva impugnato la decisione di primo grado deducendo censure di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché la violazione degli artt. 84 d.lgs. n. 159/2011 e 97 Cost.

Il Consiglio di Stato ha affermato che la funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). Quanto alla rilevanza di rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, il Consiglio di Stato ha poi avuto modo di chiarire che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto (Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2023, n. 5227; Cons. Stato, Sez. III, 7 febbraio 2018, n. 820). Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. In altri termini, tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l’organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello “clanico”, che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell’associazione (Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2023, n. 5227). Nel caso di specie, il provvedimento prefettizio evidenzia chiaramente che i titolari dell’impresa sono i figli di un esponente di vertice di un sodalizio di stampo mafioso, fortemente radicato in alcune zone della Calabria, il che assume un valore indiziante di pericolo di condizionamento mafioso particolarmente pregnante. E del resto, come già statuito dalla giurisprudenza amministrativa, il rapporto parentale, connotato da particolare intensità, è sufficiente a “colorare” il dato familiare posto a fondamento del provvedimento interdittivo con i tratti qualificanti che devono concorrere per legittimare l’estrapolazione dallo stesso della valenza indiziaria necessaria alla dimostrazione, pur di taglio probabilistico, del pericolo di condizionamento mafioso nelle scelte e negli indirizzi dell’impresa attenzionata (Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2023, n. 8395).


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