A cura di Rossella Ceccarini

Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza n. 3391 del 26.03.2024 depositata il 15.04.2024

Con sentenza n. 3391 del 15 aprile 2024, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha ribadito alcuni principi costantemente affermati in materia di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa.

La questione sottoposta al Consiglio di Stato riguardava il ricorso per la riforma della sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata che aveva respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’informazione antimafia interdittiva con cui la Prefettura di Potenza aveva rigettato la richiesta di (…) di permanenza nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizio ed esecutori di lavoro non soggetti al tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 1, comma 52, l. 6 novembre 2021 n. 190, ed aveva assunto informativa antimafia ostativa, ai sensi degli artt. 84 e 91 d.lgs. n. 159/2011.

Il Consiglio di Stato ha ricordato che l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. White list) è disciplinata dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione (Cons. Stato, Sez. I, 1° febbraio 2019, n. 337; Cons. Stato, Sez. I, 21 settembre 2018, n. 2241). La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. III, 20 febbraio 2019, n. 1182; Cons. Stato, Sez. III, 24 gennaio 2018, n. 492) ha chiarito che le disposizioni relative all’iscrizione nella White list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure (comunicazioni ed informazioni) tanto che, come previsto dall’art. 1, comma 52-bis, l. n. 190/2012, introdotto dall’art. 29, comma 1, d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114/2014, “l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta; l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all’interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi – quello della c.d. White list e quello delle comunicazioni antimafia – che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di c.d. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia”. Come ribadito dai giudici amministrativi (Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8883; Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758), riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice d’appello, l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa. La giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 8883 del 2019) ha aggiunto che lo stesso legislatore – con l’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento. La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). In tale direzione la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente dell’estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; dall’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). Da quanto sopra esposto consegue che anche in relazione al diniego di iscrizione nella White list – iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata – è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.


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IL PERICOLO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA E’ SUFFICIENTE AI FINI DEL DINIEGO DI ISCRIZIONE NELLA WHITELIST

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