A cura della Redazione

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, sentenza n. 5255, udienza 3.11.2022, depositata il 07.02.2023

Con la sentenza n. 5255, depositata il 07.02.2023, la Sezione III della Suprema Corte ha ritenuto non fondato il ricorso proposto avverso una ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale di Trani di una  richiesta di riesame proposta da un curatore fallimentare avverso il decreto di sequestro preventivo con cui era stata applicata, a carico di due società, la predetta misura cautelare, finalizzata alla confisca diretta, per l’importo corrispondente al profitto del reato di omesso versamento di ritenute (art. 10 d.lgs. n. 74/2000). Secondo la Corte la misura cautelare emessa nel procedimento per reati tributari e finalizzata alla confisca ben può essere disposta sui beni compresi nell’attivo concorsuale: il debitore ne conserva la titolarità fino alla vendita fallimentare, nonostante siano vincolati dalla procedura a garanzia dei creditori. Tale conferma si evince da alcune norme del Codice della crisi d’impresa – benché ne sia stata rinviata la vigenza – che stabiliscono la prevalenza delle misure cautelari rispetto alle procedure concorsuali, sia pure solo in determinate ipotesi.

Nel caso posto all’esame della Suprema Corte il ricorrente, a fondamento del proprio ricorso, deduce la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p, 12-bis d.lgs. n. 74/2000 e 42 R.D. n. 267/1942 deducendo l’impossibilità di procedere con il sequestro preventivo di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare, successivamente alla dichiarazione di fallimento. Inoltre, deduce la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p., 12 d.lgs. n. 74/2000 e 42 R.D. n. 267/1942, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto che non fosse necessario evidenziare le ragioni dell’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca, non essendo sufficienti a tal fine il fumus e la confiscabilità del bene.

La Corte di Cassazione, sul primo punto oggetto di censura, rileva che vi è  un contrasto interpretativo, in quanto, secondo un orientamento condiviso dalla stessa Sezione,  è stato affermato che è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che con il vincolo apposto a seguito di dichiarazione di fallimento si assiste allo spossessamento del patrimonio della persona fisica o giuridica, con il conseguente venir meno del potere di disporne, automaticamente trasferito agli organi della procedura fallimentare con la conseguenza che, a partire da quel momento, il curatore  fallimentare subentra ope legis nell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela nell’interesse dei creditori  (v. Cass. Pen. sez. III n. 27706 del 24 giugno 2022; Cass. Pen. sez. II n. 19682 del 13/04/2022; Cass. Pen. sez. III n. 3716 del 26/11/2021, dep. 2022).

Sempre secondo la Suprema Corte, alcune pronunce di senso opposto hanno messo in dubbio tale orientamento giurisprudenziale attribuendo la titolarità dei beni in capo al fallito fino al momento della vendita fallimentare (v. Cass. Pen. sez. III n. 31921 del 4/05/2022; Cass. Pen. sez. IV n. 864 del 3/12/2021, dep. 2022). Secondo tale orientamento è dirimente il fatto che la dichiarazione di fallimento di una società, pur privando la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all’esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti alla massa), non comporta alcuna alterazione della compagine sociale i cui organi restano in funzione (seppur con i limiti della procedura fallimentare). Se quindi il fallimento comporta lo spossessamento dei beni ma lascia inalterata la struttura dell’ente fallito, logico corollario è che la società continua ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato (nei casi in cui sia prevista una responsabilità dell’ente ai sensi della l. n. 231/01) o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario.

Il Collegio, nel rigettare il ricorso, condivide l’orientamento per cui è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare che trova riscontro anche in alcune disposizioni incorporate nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) il quale prevede espressamente la legittimazione del curatore alle impugnazioni de libertate avverso il decreto di sequestro preventivo e le relative ordinanze. Inoltre, l’art. 317 c.c.i.i. sancisce il principio di prevalenza delle misure cautelari reali e della disciplina della tutela dei terzi contenute nel libro I, titolo IV, d.lgs. n. 159/2011 rispetto alle procedure concorsuali, limitando tale prevalenza alle ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. (che ricomprende anche i sequestri per reati fiscali).


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FALLIMENTO E SEQUESTRO PREVENTIVO: I BENI RICOMPRESI NELL’ATTIVO FALLIMENTARE POSSONO ESSERE OGGETTO DI SEQUESTRO PREVENTIVO
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