a cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione VI, sentenza n. 404 del 14.01.2025 depositata il 21.01.2025
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 404 depositata il 21 gennaio 2025, ha affermato che, stante il tenore testuale dell’art. 67, comma 8, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, gli effetti interdittivi propri delle misure di prevenzione sono fatti discendere in via automatica dalla presenza di condanne definitive o non definitive, purché confermate in grado di appello, per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. I reati indicati da tale articolo sono considerati dal legislatore quali aventi una specifica valenza nel contrasto alla criminalità organizzata in quanto, per tali reati, si attribuiscono le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia.
La questione sottoposta al Consiglio di Stato riguarda la riforma di una sentenza emessa dal T.A.R. per il Piemonte che aveva rigettato il ricorso avverso un provvedimento con cui l’Agenzia Regionale Piemontese per l’Erogazione in Agricoltura (A.R.P.E.A.) aveva disposto, a carico di (…), il recupero delle somme erogate a seguito di domande uniche in ambito P.A.C. per le campagne dal 2010 al 2013. Il provvedimento si fondava sull’esistenza in capo al sig. (…) di una sentenza di condanna emessa dal G.I.P. del Tribunale di Alessandria, in applicazione dell’art. 444 c.p.p., per il reato di cui all’art. 260 d.lgs. n. 152/2006 (oggi versato nell’art. 452-quaterdecies c.p.) e contemplato tra le ipotesi di reato ostative alla concessione di contributi pubblici in base al combinato disposto dell’art. 67, comma 8, d.lgs. n. 159/2011 (e, prima ancora, dall’art. 10 l. n. 575/1965) e dell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.
Secondo Palazzo Spada, l’elenco dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. è richiamato da varie disposizioni, sia interne al codice di procedura penale che esterne ad esso, al fine di sottoporre detti reati ad un regime di particolare rigore [ad es. in punto di: proroga delle indagini preliminari (art. 406, comma 5-bis, c.p.p.), regime delle misure cautelari personali (art. 275, comma 3, c.p.p.), riti alternativi (art. 444, comma 1-bis, c.p.p.), requisiti della prova (art. 190-bis, c.p.p.), rogatorie (artt. 724, comma 9, c.p.p. e 727, comma 8, c.p.p.), regime della prescrizione (artt. 157, comma 6, c.p., 160, comma 3, c.p., 161 c.p.), operazioni sotto copertura (art. 9 l. n. 146/2006), indagini tributarie (art. 25 l. n. 646/1982)]. Detti reati sono presi in considerazione anche dalla disciplina delle misure di prevenzione e, in particolare, oltre che dall’art. 67, comma 8, anche dall’art. 84 d.lgs. n. 159/2011, che prevede che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva sono desunte anche dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per detti delitti.
Il Consiglio di Stato è consapevole del dibattito presente in dottrina ed in giurisprudenza circa i dubbi relativi all’inserimento del reato di traffico illecito di rifiuti all’interno dell’elenco di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e, in particolare, alla possibilità che da tale inserimento discendano le conseguenze applicative di cui sopra anche laddove detto reato non si manifesti nella forma associativa (cfr. T.A.R. Piemonte, ord. 29 aprile 2021, n. 142, che aveva sollevato sul punto una questione di costituzionalità poi dichiarata inammissibile, per ragioni di rito, da Corte Cost., 10 maggio 2022, n. 118). Il reato di traffico illecito di rifiuti, prima previsto dall’art. 260 Cod. ambiente e ora contenuto nell’art. 452-quaterdecies c.p., punisce colui che, “al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”. Secondo il Collegio, pertanto, per l’integrazione della fattispecie sono necessarie condotte plurime, che si inseriscano nell’ambito di una struttura organizzativa e che abbiano ad oggetto “ingenti quantità” di rifiuti. Il reato di cui all’art. 260 cit. era inserito testualmente nell’elenco di cui all’art. 52, comma 3-bis, c.p.p. come fattispecie a rilevanza autonoma che, quindi, faceva di per sé sorgere la competenza, nell’ambito del procedimento penale, della direzione distrettuale antimafia. La situazione è poi mutata a seguito di novelle del 2018 che hanno abrogato l’art. 260 Cod. ambiente, hanno trasfuso il reato all’art. 452-quaterdecies c.p. e hanno modificato l’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. nel senso di radicare la competenza della direzione distrettuale antimafia laddove, per quanto qui rileva, si proceda per detto reato unitamente a quello di cui all’art. 416 c.p. La Corte costituzionale, con la sentenza 30 luglio 2021, n. 178, ha esaminato la questione di costituzionalità riguardante l’art. 67, comma 8, d.lgs. n. 159/2011 nella parte in cui faceva discendere gli effetti “automatici” di cui si è detto, oltre che dalla presenza di condanne per i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., anche per i reati previsti dall’art. 640, secondo comma, numero 1), c.p. (truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico) e dall’art. 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). Nel dichiarare l’illegittimità di detta previsione per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., la Corte costituzionale ha dato rilevanza all’estraneità di tali ultime fattispecie dall’elenco di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. La Consulta ha osservato che “gli altri casi previsti dalla disposizione censurata, cioè quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., hanno una specifica valenza nel contrasto alla mafia, tant’è che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia (…) tali fattispecie delittuose hanno in gran parte natura associativa oppure presentano una forma di organizzazione di base (come per il sequestro di persona ex art. 630 c.p.) o comunque richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p.), oltre a prevedere pene che possono essere anche molto alte”. La stessa Corte costituzionale, pertanto, ha evidenziato, sia pure in via di obiter dictum, come il reato di traffico illecito di rifiuti presenti una valenza nel contrasto alla criminalità organizzata, ancorché non rappresenti sempre un reato-fine dei delitti associativi. Difatti, non tutti i fatti di reato riconducibili alle fattispecie elencate all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. sono sempre espressione di fenomeni mafiosi ovvero di altre forme di criminalità organizzata. Tuttavia, il legislatore individua tali delitti come “reati spia” di un possibile, ancorché non certo e non presente in ogni caso, collegamento con tali fenomeni e, pertanto, vi fa conseguire un regime particolarmente severo. Per quanto qui interessa, il legislatore prevede che, in caso di condanna per uno di detti reati, consegue per il reo l’impossibilità di ottenere provvidenze pubbliche. Si tratta di misura severa ma che si giustifica alla luce della sottesa finalità (cautelare, e non sanzionatoria come si è detto) di evitare che le risorse pubbliche possano andare a finanziare forme di criminalità organizzata. Pertanto, non è irragionevole la scelta del legislatore di far conseguire alla condanna penale per il reato di traffico illecito di rifiuti la revoca delle agevolazioni pubbliche conseguite dal condannato.