A cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V Penale, sentenza n. 3197 del 13.09.2023 depositata il 26.01.2024

La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3197 del 13 settembre 2023 depositata il 26 gennaio 2024 ha richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione del disposto dell’art. 223, comma 2, n. 1), l. fall. con particolare riferimento alla fattispecie di causazione o di aggravamento del dissesto, determinata dalla condotta illecita di cui all’art. 2621 c.c., in tema di false comunicazioni sociali.

La questione sottoposta alla Suprema Corte di Cassazione trae origine da una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Como aveva condannato (…) alle pene principale ed accessorie ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in relazione al fatto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, in relazione al fallimento della società (…) s.r.l. in liquidazione. I giudici di merito hanno ritenuto che (…) abbia concorso a cagionare il dissesto della società fallita, mediante la sovrastima delle rimanenze finali rilevate nel bilancio in cui venivano esposti fatti materiali non rispondenti al vero, al fine di occultare le perdite e proseguire l’attività di impresa rappresentando un apparente e fittizio stato di benessere della società. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.

Secondo la Suprema Corte, da tempo, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, i fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un’ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l’autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (con la conseguenza, tra l’altro, che i termini di prescrizione iniziano a decorrere non dalla consumazione delle singole condotte presupposte ma dalla data della declaratoria del fallimento: cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 2 marzo 2011, n. 15062). Nel corso degli anni la giurisprudenza di legittimità si è attestata sull’orientamento secondo cui commette il reato di bancarotta impropria da reato societario l’amministratore che, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un inesistente stato di solidità della società, consentendo così alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacché, agevolando in tal modo l’aumento dell’esposizione debitoria della fallita, determina l’aggravamento del suo dissesto (cfr. Cass. pen., Sez. V, 11 gennaio 2013, n. 17021, Rv. 255089), ovvero che esponga nel bilancio dati non veri al fine di occultare l’esistenza di perdite e consentire, quindi, la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori negli esercizi successivi, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (Cass. pen., Sez. IV, 18 giugno 2014, n. 42811). Va, pertanto, ribadito che l’ipotesi di falso in bilancio seguito da fallimento della società di cui all’art. 223, comma 2, n. 1), l. fall. costituisce un’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria e si distingue sia dal falso in bilancio previsto dall’art. 2621 c.c., che è reato sussidiario punito a prescindere dall’evento fallimentare, sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili. Pertanto, verificatosi il fallimento, il fatto di cui all’art. 2621 c.c. è assorbito nel reato di bancarotta impropria, mentre concorre con il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, di cui all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall., ove integrato da condotte diverse dalla falsificazione (cfr. Cass. pen., Sez. V, 28 maggio 1996, n. 7293, Rv. 205987; Cass. pen., Sez. V, 3 dicembre 2020, n. 323). In altri termini, come affermato dalla dottrina prevalente e dalla stessa giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario è strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario, tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo, deve essere causa o concausa del dissesto societario, pur dovendosi individuare il momento di consumazione del reato nella dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. pen., Sez. V, 15 maggio 2009, n. 32164, Rv. 244488), posto che il rinvio operato dall’art. 223, co. 2, n. 1), l. fall. riguarda le intere fattispecie incriminatrici contemplate nei singoli reati societari e non i soli fatti, intesi come condotta ed evento, in essi descritti (cfr., in questo senso, Cass. pen., Sez. V, 23 aprile 2003, n. 23236, Rv. 224950). Sotto altro profilo, pacifica è la natura di reato proprio del delitto di cui si discute, stante il chiaro disposto dell’art. 223, comma 2, l. fall., che riconduce le condotte illecite previste dal n. 1) e dal n. 2) del suddetto comma ai soggetti indicati nel comma 1 del citato art. 223, vale a dire “agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite”. In questa ottica è stato sottolineato come il componente del consiglio di amministrazione risponda del concorso nella bancarotta impropria da reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all’espletamento del suo mandato (cfr. Cass. pen., Sez. V, 29 marzo 2012, n. 23091, Rv. 252803). Quanto all’elemento soggettivo del reato, costante appare l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, alla luce del quale, in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all’art. 2621 c.c., il dolo richiede una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato in capo agli amministratori di fatto e di diritto, a fronte dell’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria della società, al fine di ottenere l’ammissione al concordato preventivo e, comunque, la continuazione dell’attività d’impresa mediante manipolazione dei dati contabili e conseguente falsa rappresentazione della situazione contabile ai creditori e agli organi della procedura: cfr., ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 16 maggio 2018, n. 50489). Infine, ha concluso la Suprema Corte, il reato di false comunicazioni sociali previsto dall’art. 2621 c.c., che, come si è detto, costituisce un elemento della struttura complessa del reato di bancarotta impropria da reato societario, si consuma nel luogo e nel momento in cui si riunisce l’assemblea ed il bilancio viene illustrato ai soci.


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IL REATO DI BANCAROTTA FRAUDOLENTA IMPROPRIA DA REATO SOCIETARIO

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