a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, ordinanza n. 2803 del 05.02.2025

La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2803 pubblicata il 2 febbraio 2025, ha affrontato la questione del “licenziamento” operato dall’amministratore giudiziario.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda un ricorso avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo che, in riforma della decisione del Tribunale di Agrigento, aveva annullato il licenziamento intimato a (…) dall’amministratore giudiziario della (…) s.r.l. ordinandone la reintegrazione e la corresponsione dell’indennità risarcitoria.

Gli Ermellini hanno affermato che la stessa Corte di legittimità, in materia di sequestro di prevenzione delle aziende, ha da tempo chiarito che la disciplina del d.lgs. n. 159/2011 è improntata alla salvaguardia dell’ordine pubblico ed alla funzionale destinazione dell’azienda all’esercizio dell’impresa. A tal fine, l’amministratore giudiziario è tenuto a provvedere alla custodia, alla conservazione ed all’amministrazione dei beni sequestrati, potendo procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro in forza della previsione dell’art. 56 del citato decreto, senza che trovino applicazione le garanzie proprie del licenziamento disciplinare, essendo tuttavia necessario che la risoluzione del rapporto contenga la specificazione dei motivi di recesso, in quanto principio generale in materia di licenziamenti (Cass. civ., n. 21917 del 2024; Cass. civ., n. 14467 del 2015; Cass. civ., n. 15041 del 2015; Cass. civ., n. 10439 del 2017; Cass. civ., n. 26478 del 2018). La decisione di risoluzione del rapporto, invero, non assume natura disciplinare, risultando espressione di un potere funzionale alla gestione del bene sequestrato ed alla tutela delle esigenze di ordine pubblico. L’art. 35, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 disciplina esclusivamente le incompatibilità per la nomina dell’amministratore giudiziario e dei suoi collaboratori (“coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario nell’attività di gestione”), stabilendo che non possono essere nominati soggetti direttamente o indirettamente interessati alla gestione del patrimonio sequestrato, al fine di evitare conflitti di interesse e garantire l’imparzialità dell’amministrazione giudiziaria. Tale previsione normativa non riguarda il personale dipendente dell’impresa sequestrata, il cui rapporto di lavoro resta regolato dalla disciplina generale del Codice delle leggi antimafia, con specifico riferimento all’art. 56, che detta le regole per la prosecuzione o risoluzione dei rapporti pendenti. Secondo gli Ermellini, l’amministratore giudiziario ha il potere di risolvere il rapporto di lavoro su autorizzazione del giudice, senza dover seguire le garanzie procedimentali proprie del licenziamento disciplinare, purché la decisione sia adeguatamente motivata con il richiamo alla misura adottata dall’autorità giudiziaria.

Nel caso di specie, l’amministratore giudiziario aveva motivato il licenziamento con riferimento al provvedimento di sequestro che aveva attinto l’azienda, alla posizione di persona sottoposta a indagini del lavoratore, al suo ruolo di direttore tecnico e, quindi, alla possibilità che la sua permanenza in azienda pregiudicasse la gestione della stessa nel contesto della misura di prevenzione.


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LEGITTIMITA’ DEL “LICENZIAMENTO” INTIMATO DALL’AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO

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