A cura di Rossella Ceccarini

TRIBUNALE AMMNISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA, Sezione I, sentenza n. 1401 del 22.03.2023 depositata il 05.06.2023

La Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con la sentenza n. 1401 depositata il 05.06.2023 nel rigettare l’impugnativa, sottolinea come il rischio di condizionamento mafioso dell’impresa possa essere ravvisato anche ove i rappresentanti e gli amministratori della stessa non abbiano partecipato all’attività delittuosa, ma si siano comunque avvalsi, ancorché inconsapevolmente, dell’aiuto o del supporto delle associazioni mafiose, prestandosi così ad incrementarne il potere di etero-direzione ed i profitti illeciti.

Il caso sottoposto all’attenzione del T.A.R. riguarda il titolare di un’impresa individuale che impugnava il provvedimento di conferma, a seguito di aggiornamento ex art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159/2011, di una precedente informazione interdittiva antimafia, denunciandone, in particolare, il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione per non aver il Prefetto tenuto in sufficiente considerazione alcune pronunce sopravvenute – in sede penale – di carattere assolutorio. Secondo il T.A.R. il provvedimento impugnato reca un’adeguata motivazione poiché riferisce in modo chiaro e documentato una pluralità di accadimenti, li esamina nella loro connessione e ne deduce in maniera coerente l’attualità del rischio infiltrativo.

Il Collegio, nel richiamare la giurisprudenza amministrativa in ordine all’inquadramento dell’“interdittiva antimafia”, ricorda, tra l’altro, che il provvedimento di “interdittiva antimafia” ha natura cautelare e preventiva e mira a scongiurare l’infiltrazione mafiosa nell’economia, eliminando i soggetti economici infiltrati dalle associazioni mafiose dal circuito dell’economia legale, e non solo da quello dei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Inoltre evidenzia come la finalità di tale misura interdittiva, consistente nell’anticipazione della soglia di difesa sociale nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non debba necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo, né dimostrare l’esistenza di un condizionamento “mafioso” in atto, potendo invece essere sorretta da situazioni sintomatiche e indiziarie da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa sussistere il tentativo di ingerenza della criminalità organizzata nell’attività economica imprenditoriale. Il Collegio, a tal riguardo, ricorda la sentenza emessa del Consiglio di Stato, Sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792, che afferma che rientrano nel catalogo aperto delle situazioni sintomatiche di condizionamento mafioso dell’impresa anche le sentenze di assoluzione o di proscioglimento, dalla motivazione delle quali emerga un condizionamento, sotto qualsiasi forma, anche indiretta, dell’attività di impresa da parte delle associazioni malavitose.

Il T.A.R. per la Lombardia ritiene, così, che le pronunce assolutorie non abbiano cancellato i presupposti della precedente interdittiva, confermando invece l’incerta provenienza di una somma conferita per l’acquisto dell’impresa da un soggetto inserito, sia pure inconsapevolmente, in un meccanismo di riciclaggio di denaro, come pure la circostanza per cui la gestione dell’impresa fosse improntata ad una politica truffaldina, mediante l’utilizzo, sia pur inconsapevole, di soggetti attigui alla criminalità mafiosa.


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INGERENZE TRA GIUDICATO PENALE ED INTERDITTIVA ANTIMAFIA

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