A cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Penale, sentenza n. 14815 del 18.01.2023 depositata il 06.04.2023

La Suprema Corte con la sentenza n. 14815 del 18 gennaio 2023, depositata il 6 aprile 2023, nel dichiarare il ricorso inammissibile si è pronunciata sulla richiesta di revoca della confisca per sproporzione formulata in sede esecutiva dall’intestatario soltanto formale del bene, senza rivendicazione della titolarità effettiva.

Il caso sottoposto al vaglio degli Ermellini riguarda un’ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro, adita in sede di opposizione, che aveva rigettato l’istanza con cui la ricorrente aveva chiesto revocarsi la confisca di beni immobili di sua proprietà disposta, ai sensi dell’art. 12-sexies d.l., 8 giugno 1992, n. 306 (oggi trasfuso nell’art. 240-bis c.p.), con la sentenza di condanna del coniuge per il reato di usura.

La ricorrente nella sua qualità di terza proprietaria lamenta erronea applicazione degli artt. 31 l. n. 161/2017, 12-sexies d.l. n. 306/1992, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 1992, n. 256, nonché degli artt. 11, comma 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 262, e 200, comma 1, c.p., nonché erronea applicazione dell’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 1992, n. 356, nel testo modificato dall’art. 31 l. n. 161/2017. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione.

Secondo la Suprema Corte la ricorrente, terza interessata che non ha preso parte al processo di cognizione e quindi astrattamente legittimata a richiedere la revoca della confisca in sede esecutiva (da ultimo Cass. pen., sez. I, 24 ottobre 2018, n. 4096), ha chiesto la revoca della statuizione di confisca disposta nei confronti del suo coniuge, condannato in sede di cognizione per uno dei reati spia di cui all’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, prospettando esclusivamente che i due beni immobili, a lei formalmente intestati, erano stati erroneamente confiscati perché, come dimostrato dalle prove assunte come nuove, acquistati dal condannato per il reato di usura, che ne aveva la disponibilità di fatto, non con fondi di provenienza illecita bensì con fondi provenienti da evasione fiscale o comunque dal mancato adempimento degli obblighi tributari. Non ha contestato, invece, il carattere fittizio dell’intestazione dei beni confiscati al coniuge né ha sostenuto che questi ultimi siano stati acquistati con fondi a lei riconducibili. Nella descritta situazione, è pacifico che nel procedimento di cognizione l’imputato, anche servendosi degli ordinari mezzi di impugnazione, possa dedurre, al fine di evitare la confisca, fatti giustificativi della provenienza lecita della provvista impiegata dal condannato per l’acquisto dei beni o comunque dimostrativi della proporzione degli acquisti rispetto alla sua attività economica e al reddito.

È invece controverso se il condannato possa far valere i medesimi fatti ed in che limiti dopo l’irrevocabilità della sentenza che ha disposto la confisca. Secondo l’orientamento ermeneutico citato dal ricorrente (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2021, n. 27367; Cass. pen., sez. I, 9 gennaio 2009, n. 4196), che valorizza la sostanziale omogeneità tra le ipotesi di confisca previste dall’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 e quella di prevenzione (cfr. Cass. pen., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, che considera i due istituti aventi una comune natura ambigua, sospesa tra funzione special preventiva e vero e proprio intento punitivo), il condannato, in sede esecutiva, può sempre avvalersi della richiesta di revoca prevista dall’art. 7, comma 2, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, o di revocazione a mente dell’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Attraverso tali strumenti a carattere riparatorio gli è consentito di superare l’accertamento coperto dal giudicato di condanna relativo alle situazioni di fatto costituenti condizioni di legittimità della misura che attengono alla assenza di giustificazione in ordine alla provenienza dei beni e al loro valore non proporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica lecita purché, come rimarca la sentenza delle Sezioni Unite n. 57 del 2006 con riferimento alla revoca ex art. 7, comma 2, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, e come indicato espressamente dalla lettera dell’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011. n. 159, la richiesta di rimozione del provvedimento ablativo oramai definitivo si muova nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 e ss. c.p.p., con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento (e sono tali anche quelle non valutate nemmeno implicitamente: cfr. Cass. pen., sez. un., 26 settembre 2001, Pisano), ovvero di inconciliabilità di provvedimenti giudiziari, ovvero di procedimento fondato su atti falsi o su un altro reato. Secondo il contrapposto orientamento la confisca ex art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, disposta con sentenza definitiva di condanna per i reati che la prevedono, non può essere revocata dal giudice dell’esecuzione quando siano emersi nuovi elementi di prova, dovendo promuoversi il rimedio straordinario della revisione del giudicato per elidere l’accertamento giudiziale su cui la misura di sicurezza si fonda (Cass. pen., sez. VI, 30 giugno 2021, n. 29200).

Secondo gli Ermellini diversa è la posizione del terzo che, come la ricorrente, chiede la revoca della confisca disposta con sentenza divenuta irrevocabile ex art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, limitandosi a dedurre, in via esclusiva, prove nuove sopravvenute relative a fatti giustificativi della provenienza lecita della provvista impiegata, non da lei, ma dal condannato per l’acquisto dei beni oggetto della misura ablatoria. Trova, infatti, applicazione il diverso principio, in forza del quale, se ad essere assoggettati a confisca di qualsiasi tipo sono beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo deve necessariamente rivendicare l’effettiva titolarità di tali beni (Cass. pen., sez. I, 10 dicembre 2019, n. 5050). Qualora il terzo non operi tale preliminare rivendica nella richiesta di revoca della confisca, gli è precluso, per evidente carenza di interesse, dedurre ogni questione sui presupposti previsti dall’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, per l’applicazione della misura ablatoria quali quelli relativi alla giustificazione della provenienza lecita dei beni utilizzati dallo stesso per l’acquisto del bene fittiziamente intestato al terzo o della proporzione tra beni confiscati e reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla attività economica. In tutte queste ipotesi, il terzo che non smentisce e, anzi, presta acquiescenza all’accertamento intervenuto in ordine all’appartenenza del bene al proposto, non può risultare portatore di un interesse proprio a coltivare la domanda di restituzione perché relativa ad un bene che, secondo quanto riconosciuto dal giudicato nella parte non investita dai rilievi in sede di esecuzione, non gli appartiene. A fronte della ritenuta interposizione fittizia, tali questioni possono essere prospettate solo dal soggetto nei cui confronti è stata disposta la confisca, che resta l’unico interessato.

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TERZO INTESTATARIO FORMALE DEL BENE E RICHIESTA DI REVOCA DELLA CONFISCA FORMULATA IN SEDE ESECUTIVA

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