a cura di Lucia Ponzo

Il convegno nazionale organizzato da Advisora dal titolo “Sequestri e Confische tra contrasto alla criminalità organizzata e tutela del mercato: bilanciamento necessario”, tenutosi il 22 febbraio 2019, nella prestigiosa Villa Malfitano Whitaker, a Palermo, tra i vari temi, nel 5° workshop, ha affrontato il delicato e dibattuto tema della “Tutela dei terzi nel Codice Antimafia: novità normative e giurisprudenziali”.

Sono intervenuti al dibattito, il prof. Gianluca Varraso, Ordinario di diritto processuale penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in qualità di moderatore, il dr. Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli, componente del Consiglio direttivo ANBSC, il dr. Simone Petralia, magistrato della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta e il dr. Fabio Pantaleo, Responsabile misure di prevenzione Unicredit.

Com’è noto, la tutela dei terzi che hanno avuto rapporti contrattuali con i soggetti (persone o aziende), colpiti da provvedimenti di sequestro e confisca, rappresenta uno dei temi centrali delle misure di prevenzione antimafia.

La confisca, infatti, comporta effetti indesiderati oltre che per il proposto anche per i terzi titolari di diritti di credito nei suoi confronti o del titolare formale del bene, che vedono pregiudicata la possibilità di ottenere il pagamento del debito contratto da tali soggetti, privati del bene devoluto allo Stato.

La materia della tutela dei terzi è regolamentata negli articoli 52 e seguenti del Decreto Legislativo n. 159 del 2011 del c.d. Codice Antimafia, e, come evidenziato dal prof. Varraso, assume maggiore risalto in seguito alle modifiche introdotte dal D.Lgs. N. 14 del 2019, cd. Codice della crisi e dell’insolvenza. In particolare, è di grande rilievo l’art. 104 bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. che estende la normativa in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e quella in materia di tutela dei terzi oltre che ai casi di sequestro e confisca in materia di prevenzione anche ai casi di sequestri penali in generale.

Il prof. Varraso, sul punto, ha evidenziato che, sebbene le leggi di modifica abbiano una propria ratio e giustificazione, certamente, hanno un impatto fondamentale sotto il profilo organizzativo e ordinamentale “si tratta di riforme che non possono essere a costo zero” e che, sebbene la loro entrata in vigore sia rimandata al 15.8.2020, “i problemi è buono porseli fin dall’inizio”.

Il tema della tutela dei terzi sotto il profilo sistematico in generale è stato affrontato dal dr. Francesco Menditto, esperto in misure di prevenzione, in modo particolare su tale argomento.

Egli ha chiarito che la tendenza degli operatori è volta a considerare, da un lato,  la normativa riguardante il sequestro e la confisca nelle misure di prevenzione in cui si è maturata una lunga esperienza e si è ottenuta una regolamentazione completa sin dal 2011, con ulteriori interventi nel 2017 e, dall’altro lato, la normativa dei sequestri e delle confische penali “l’arcipelago delle confische penali, tante e varie confische tra cui in primo luogo la confisca allargata che è molto simile alla confisca di prevenzione solo perché colpisce l’intero patrimonio sproporzionato”.

Riguardo alla sorte dei terzi che sono travolti da un provvedimento di sequestro di prevenzione, il dr. Menditto ha sottolineato che esiste una disciplina organica che prevede dei principi normativi stratificati, rappresentati, nello specifico: a) dall’acquisto a titolo originario dei beni dopo la confisca definitiva (tutti i beni sono devoluti allo Stato senza oneri e senza pesi); b) dalla sospensione delle azioni esecutive; c) dalla tutela dei terzi, regolamentata dall’art. 52 del Codice Antimafia, riservata ai creditori di buona fede; d) dalla precedenza della procedura di prevenzione nel caso di concomitanza tra la medesima e la procedura concorsuale.

Questi rappresentano i criteri generali di tutela dei terzi nell’ambito delle misure di prevenzione.

Mentre, per ciò che concerne le confische penali, secondo il dr. Menditto, i magistrati si sono orientati in modo casuale, a seconda delle situazioni.

Con riferimento alla confisca allargata, regolata dall’art. 240 bis c.p., che è una misura che colpisce l’intero patrimonio sproporzionato, si è arrivati all’assimilazione con la confisca di prevenzione e si applicano, quindi, tutte le norme in materia di amministrazione giudiziaria, di destinazione e di tutela dei terzi previsti dal Codice Antimafia.

Nonostante la normazione, comunque, si sono verificati svariati problemi applicativi. Infatti, in materia penale, poiché non trovano applicazione tutte le norme del codice Antimafia, non è prevista la figura di un giudice specializzato che si occupi della verifica dei crediti, come il Giudice Delegato nell’ambito delle misure di prevenzione.

Tale competenza è attribuita al Giudice delle Indagini Preliminari, il quale, pur dovendosi occupare di tante cose, è costretto ad effettuare la verifica dei crediti con un procedimento incidentale che accerti la buona fede.

Inoltre, il legislatore non ha stabilito in quale momento inizi la tutela dei terzi.

Sempre con riferimento alla confisca allargata, se si applicassero integralmente le norme del codice Antimafia, la verifica dei crediti andrebbe svolta dal Giudice dell’Esecuzione penale, dopo la confisca di I° grado. Invece, prima della riforma della legge n. 161 del 2017, secondo l’orientamento unanime della Suprema Corte, la verifica dei crediti si effettuava dopo la confisca definitiva.

Con la riforma contenuta nel D. Lgs n. 14/2019 (il quale, ai sensi dell’art. 389, ad eccezione degli articoli 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 375, 377, 378, 379, 385, 386, 387, e 388 che sono già entrati in vigore il 16.03.2019, troverà applicazione trascorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale – G.U. Serie Generale n. 38 del 14.02.2019 – e, quindi, il 15.08.2020), il legislatore ha portato a compimento l’assimilazione della normativa sulla confisca di prevenzione alle confische penali anche in materia di tutela dei terzi.

In buona sostanza, con la riforma del 2019, a tutte le confische penali, saranno applicate non solo le norme in materia di amministrazione giudiziaria ma anche quelle in materia di tutela dei terzi e quelle relative ai rapporti con le procedure concorsuali.

Tutto il corpo normativo del Codice antimafia sarà applicato a tutte le forme di confisca penale, anche alla confisca per equivalente e non solo a quella allargata.  Ciò, ha sottolineato il dr. Menditto, comporterà svariati problemi applicativi. Infatti, se è vero che il legislatore è stato molto coraggioso nel traslare il corpo normativo del Codice Antimafia a tutte le confische penali, purtroppo, alle modifiche normative non si sono accompagnate le modifiche organizzative, pertanto è molto alto il rischio che il sistema non funzioni.

Infatti, dopo la vacatio legis, non appena si dovrà estendere l’intera disciplina in materia di tutela dei terzi alle varie forme di confisca penale, occorrerà che il legislatore fornisca ai Giudici delle Indagini Preliminari gli strumenti per applicarla e sarà necessario prevedere delle norme di dettaglio che consentano di attuarla.

Durante il dibattito si è anche parlato dell’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati, del cui consiglio direttivo è componente il dr. Menditto. Quest’ultimo ha evidenziato che il Decreto di Sicurezza (D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella legge 1° dicembre 2018, n. 132) ha previsto un potenziamento dell’Agenzia con un rinforzo dell’organico adeguato e professionalmente preparato “così da mettere a regime tutto il sistema…” e che, in materia di misure di prevenzione e di confisca allargata, fosse in grado di “affiancare l’Amministratore Giudiziario fin dal momento del sequestro”.

Secondo il dr. Menditto, l’Agenzia Nazionale “può avere una visione di carattere nazionale, alleggerendo così il compito del Giudice della prevenzione ma anche del Giudice delle indagini preliminari… che poi è in grado di seguire il bene rapidamente nella amministrazione diretta dalla confisca di secondo grado, che potremmo mano mano fare retrocedere con confisca di primo grado o addirittura dopo l’udienza preliminare per i procedimenti penali come era previsto prima e un’Agenzia così in grado di destinare rapidamente e bene i beni confiscati definitivamente”.

In ultimo, è stato affrontato il tema della destinazione dei beni confiscati in via definitiva in relazione alle varie forme di confisca, diverse da quella allargata.

Infatti, in presenza di una confisca in materia di misure di prevenzione o di una confisca ai sensi dell’art. 240 bis, dopo la confisca definitiva, interviene ovviamente, l’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati, mentre, per tutte altre confische, si applicano le norme ordinarie in materia di destinazione e, quindi, l’art. 86 delle norme di attuazione al codice di procedura penale.

Secondo una certa interpretazione giurisprudenziale si tenderebbe ad estendere i poteri dell’Agenzia Nazionale anche a queste forme diverse di confisca. Il dr. Menditto ha ricordato che la Corte d’Appello di Milano ha sostenuto questa posizione che dovrà essere esaminata dalla Corte di Cassazione ma che, a suo avviso, dovrebbe essere riformata.

A conclusione del suo intervento, egli ha auspicato che il legislatore, nel modificare il Decreto Legislativo n. 14/2019, possa riscrivere bene l’art. 104 bis delle disposizioni di attuazione al c.p.p.,  in modo da risolvere ogni problema e dire con chiarezza che, da un lato, esiste un corpo normativo chiaro e univoco che è quello della confisca di prevenzione e della confisca allargata dove i temi sono simili, sebbene siano diversi i presupposti soggettivi, perché viene colpito un intero patrimonio sproporzionato e quindi simili sono le problematiche in materia di amministrazione giudiziaria, di tutela dei terzi e simili sono le finalità di destinazione dei beni a fini sociali per i beni immobili. Dall’altro lato, esistono le altre forme di confisca penale che hanno funzioni diverse, a volte di misure di sicurezza e a volte sanzionatorie, e che possono, a loro volta, prendere parte della normativa del codice antimafia e traslarla ma non completamente perché la loro finalità non è quella di contrastare la criminalità organizzata o, comunque, direttamente la criminalità da profitto.

Il coordinatore del workschop, prof. Varraso, ad integrazione dell’intervento del dr. Menditto, ha evidenziato come spesso le norme, purtroppo, rimangono sulla carta in quanto, ad esempio, a Milano, l’Agenzia nazionale consta di 5 persone e non riesce a funzionare bene. Egli auspica una tendenza sistematica che miri a creare un modello unitario di tutela dei crediti e ad anticipare quanto più possibile, anche nel procedimento penale, la verifica dei crediti.

Egli ha, chiaramente, espresso le sue perplessità sulla tempistica della verifica dei crediti, pur conscio che il lavoro dei magistrati non è semplice stante la mancanza di risorse.

Sul punto, il dr. Menditto ha precisato che occorre dare maggiore discrezionalità ai magistrati e verificare caso per caso. Infatti, si possono presentare delle fattispecie in cui la verifica dei crediti deve essere iniziata prima possibile, in modo da approvare lo stato passivo ed accertare il credito anche prima della confisca di primo grado, in modo da dare certezza ai creditori (esempio Istituti di credito) e conservare la linea di credito per permettere all’azienda di potere continuare ad essere amministrata così da evitarne la chiusura.

Sulle problematiche contingenti riguardanti la tutela dei terzi, ha relazionato il dr. Simone Petralia, giudice della prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta, il quale ha analizzato le questioni riguardanti i titolari dei diritti di credito sorti anteriormente al provvedimento di sequestro alla luce della riforma intervenuta con la legge n. 161/2017 che ha apportato modifiche sostanziali e procedurali alle norme del codice antimafia.

Norma fondamentale è stata ritenuta l’art. 54 bis del codice antimafia che ha introdotto “un doppio binario nella tutela dei terzi”.

Infatti, se da un lato vi sono i cosiddetti creditori strategici, per i quali il pagamento dei crediti pregressi è indispensabile per la prosecuzione dell’attività aziendale (esempi, fornitori acqua, energia elettrica), dall’altro lato, vi sono i creditori ordinari, c.d. deboli, che dovranno attendere la verifica dei crediti di cui agli articoli 52 e seguenti per essere soddisfatti, seppure in misura parziale.

Riguardo al pagamento anticipatorio dei crediti pregressi, la norma consente il loro pagamento parziale o totale per prestazioni di beni o servizi nei casi in cui tali prestazioni siano collegate a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell’attività.

Nel caso di pagamento parziale, il dr. Petralia ha sollevato il problema del momento in cui dovrà essere pagato il credito residuo e, cioè, se occorrerà rimandare il tutto alla procedura di verifica dei crediti o se vi sono altre possibilità, non disciplinate dal legislatore.

L’art. 54 bis, II comma, dispone che il Tribunale possa autorizzare l’amministratore giudiziario a rinegoziare le esposizioni debitorie dell’impresa e a provvedere ai conseguenti pagamenti. Si parla, secondo il dr. Petralia, di un’autorizzazione omnibus che riguarda tutti i creditori considerati strategici. In questo caso, l’autorizzazione ha natura transattiva, novativa e può essere totale o parziale.

Passando, poi, ad esaminare la fase della verifica dei crediti, egli ha sottolineato che nessuna novità è stata prevista riguardo al presupposto dell’anteriorità del credito rispetto al provvedimento ablatorio, per cui si è posto il problema se debbano applicarsi le norme civilistiche e, in particolare, l’art. 2704 c.c.

Egli ha evidenziato che la prassi è orientata nel ritenere che il mondo delle misure di prevenzione possa emanciparsi dalle regole civilistiche e pretendere un quid minoris rispetto alle regole di certezza stabilite dalla norma civilistica, soprattutto, considerando il sistema negoziale che molto spesso si basa su contrattazioni anche informali (ordini trasmessi via fax, fatture che possono essere riscontrate nelle contabilità delle imprese sia cedenti che cessionarie).

Riguardo alle condizioni del credito, la riforma del 2017 del codice antimafia ha inciso sulla lettera a) dell’art. 52.

Infatti, nella formulazione originaria, la prima condizione richiesta per l’ammissione del credito era la previa escussione del patrimonio restante del proposto e la sua insufficienza al soddisfacimento del credito. Invece, adesso, è sufficiente che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito.

La nuova formulazione della norma, quindi, esclude che il terzo debba dimostrare di avere compiuto infruttuosamente procedimenti esecutivi in danno del proposto, prevedendo che sia sufficiente provare solamente l’assenza di altri beni rispetto a quelli sottoposti alla misura di prevenzione.

Il dr. Petralia, chiedendosi, se il legislatore con la riforma intendesse mutare soltanto l’oggetto dell’impegno del creditore, passando da una prova sull’insufficienza del patrimonio ad una semplice allegazione, ovvero se intendesse soltanto modificare il soggetto deputato a svolgere una simile ricerca, ha precisato che i Giudici Delegati delle misure di prevenzione di Caltanissetta hanno operato nel senso di richiedere all’Amministratore Giudiziario di effettuare le ricerche nei pubblici registri (PRA, Conservatoria dei Registri Immobiliari), delegando la Polizia Giudiziaria di effettuare le indagini sui rapporti bancari, assicurativi, in modo da non onerare il creditore della suddetta prova.

Un altro problema delicato che il dr. Petralia ha posto riguarda il “caso in cui il patrimonio residuo sia sufficiente a soddisfare soltanto una parte dei creditori” Al riguardo, egli si è posto l’interrogativo se in tale ipotesi “Il Giudice Delegato è chiamato ad operare un discernimento tra i creditori oppure finirà con il rigettare in toto le domande di ammissione al passivo, lasciando sostanzialmente ai singoli creditori la concorrenza al di fuori della materia prevenzionale”.

La riforma non ha risolto il problema ed egli ha sottolineato che i vari Tribunali si comportano in odine sparso.

La legge n. 161/2017 ha modificato anche il requisito della buona fede in senso oggettivo e soggettivo.

Prima occorreva dimostrare la non strumentalità del credito rispetto all’attività illecita a meno che il creditore non dimostrasse la buona fede e cioè di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità.

Adesso, il legislatore della riforma, utilizzando l’espressione “sempre che” sembrerebbe che abbia voluto onerare il creditore della prova di entrambi i presupposti.

Al riguardo, sia la dottrina sia la giurisprudenza si sono interrogati se il creditore, al fine di vedere soddisfatta la sua domanda, debba provare entrambi i presupposti oppure se i due fattori possano essere utilizzati in modo disgiunto.

Secondo il dr. Petralia, la riforma ha avuto un impatto meramente linguistico ma nessuno da un punto di vista pratico, di conseguenza, non avrebbe cambiato i requisiti richiesti dalla legge per l’ammissione del credito al passivo della procedura di prevenzione.

Anche il procedimento di verifica dei crediti, con la riforma del 2017, è stato modificato.

Infatti, il legislatore ha previsto, all’art. 57, II comma, del Codice Antimafia che “il giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, assegna ai creditori un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il deposito delle istanze di accertamento dei rispettivi diritti e fissa la data dell’udienza di verifica dei crediti entro i sessanta giorni successivi”.

Il testo previgente prevedeva, invece, che il giudice delegato potesse procedere “anche prima della confisca”.

In verità, la norma riformata non ha avuto alcun impatto pratico avendo recepito la prassi dei Tribunali, i quali come ha riferito il relatore, non hanno avuto “le capacità di effettuare una verifica dei crediti in via anteriore, anzi è possibile affermare che nella stragrande maggioranza dei casi non si arriva neanche a completare la proceduta di verifica dei crediti entro il provvedimento di secondo grado”.
Il termine per la presentazione delle domande tardive è di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

Con la riforma è stato formalizzato il ruolo dell’Amministratore Giudiziario, il quale ha l’onere di depositare il progetto dello stato passivo almeno venti giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dei crediti.

Anche qui, la riforma, secondo il dr. Petralia, non ha avuto alcun impatto pratico perché, nella prassi, i Tribunali oneravano gli amministratori o meglio i coadiutori dell’Agenzia Nazionale a presentare una relazione riepilogativa dei crediti.

Inoltre, egli ha affermato che è impossibile che un Amministratore Giudiziario depositi venti giorni prima dell’udienza di verifica il progetto dello stato passivo perché “accade sistematicamente la necessità di dovere rinviare per consentire alle parti di meglio spiegare ciò che è stato presentato per iscritto”.

Per quanto concerne lo svolgimento dell’udienza di verifica, il relatore ha dichiarato che “sono ridotte le possibilità da parte dei singoli istanti di presentare documenti o altro in corso d’opera, ma si prevede una scansione che tende a contenere l’effetto sorpresa”.

Inoltre, “Le parentesi istruttorie sono contenute tanto nel procedimento di primo grado quanto in quello di secondo grado in sede di opposizione appunto in Tribunale dove adesso è previsto che il creditore possa produrre dei documenti nuovi soltanto se prova di non esserne venuto a conoscenza in una fase pregressa, quindi, soltanto se prova di non averli potuti produrre tempestivamente”.

Con la riforma, infine, è stato sottolineato che la liquidazione dei beni e il piano di pagamento sono divenuti di competenza dell’Agenzia Nazionale. Infatti, si è assistito “ad una degiurisdizionalizzazione di queste fasi” in cui l’Agenzia da organo consultivo diventa vero e proprio motore centrale della procedura.

A conclusione del suo intervento, il dr. Petralia ha riportato alcuni casi pratici riguardanti la verifica dei crediti, che sono stati oggetto di esame da parte del Tribunale delle misure di prevenzione di Caltanissetta.

Uno di questi riguarda il riconoscimento o meno degli interessi di mora dopo il sequestro.

In particolare, un istituto bancario aveva chiesto di insinuarsi sia per il capitale sia per gli interessi di mora maturati a partire dal momento in cui il mutuatario aveva smesso di pagare.

La domanda è stata dichiarata inammissibile per assenza della mora perché nel momento in cui l’omesso pagamento delle rate di mutuo ha coinciso con il sequestro di prevenzione era una norma di legge ad impedire il pagamento non già la volontà del soggetto mutuatario.

Altro caso riguarda i crediti di lavoro collegati al mancato versamento delle quote di TFR.

Il dr. Petralia ha precisato che in questi casi bisogna distinguere a seconda che le quote fossero state versate direttamente dal lavoratore oppure dal datore di lavoro, ritenendo ammissibili quelli che facevano riferimento al lavoratore e non quelli che facevano capo al datore di lavoro in quanto in quest’ultimo caso sarebbe spettato al fondo previdenziale presso cui confluivano le somme farsi carico del credito.

Infine, l’ultimo caso esposto è il credito da illecito extracontrattuale.

Si è presentato il problema nella sezione del Tribunale di Caltanissetta anche se, la fattispecie non rientrava sotto il codice antimafia ma sotto la previgente disciplina, per cui, non essendoci un provvedimento passato in giudicato ma lo strumento dell’incidente di esecuzione, la domanda è stata dichiarata inammissibile.

In realtà, l’accertamento del credito da illecito extracontrattuale è un problema che necessita approfondimenti, ha sottolineato il dr. Petralia, e, considerato che l’art. 52 del Codice Antimafia parla di possibilità di soddisfare i crediti nascenti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, sembrerebbe che la norma non vi faccia rientrare i fatti di cui all’art. 2043 c.c. da cui deriva l’illecito extracontrattuale.

Tuttavia, aggiunge il relatore, “se colleghiamo il concetto di buona fede che è appunto il minimo comune denominatore di tutta la verifica dei crediti, e quindi l’esigenza di evitare semplicemente che il patrimonio vincolato sia svuotato da creditori di comodo e se a ciò aggiungiamo l’art. 48 e cioè la necessità che una parte del patrimonio confiscato vada  a soddisfare le vittime dei reati mafiosi, ne possiamo dedurre che pur non fondandosi il credito da illecito extracontrattuale su un atto,  possa essere soddisfatto, anche perché altrimenti si aprirebbe la strada anche a possibili questioni di costituzionalità per violazione dell’art. 3 perché le vittime di mafia avrebbero in questo modo un trattamento probabilmente privilegiato e quindi potrebbe essere compito della Corte Costituzionale indagare il regime differenziato”.

Il dr. Varraso ha evidenziato la grande responsabilità della giurisprudenza nella materia delle misure di prevenzione e ha sottolineato che parlare di prassi divergenti da un Tribunale a un altro non aiuta l’operatore pratico e che sarebbe auspicabile un’interpretazione uniforme della disciplina.

Ha chiuso il workshop sulla tutela dei terzi il dr. Fabio Pantaleo, referente delle misure di prevenzione patrimoniali del Gruppo Unicredit, il quale ha affermato che, in base alle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, i crediti vantati nei confronti del proposto sono cristallizzati al momento dell’adozione del provvedimento di sequestro e che la segnalazione alla Centrale Rischi viene fatta mantenendo la valutazione del cliente rilevata al momento dell’adozione del suddetto provvedimento.

Il dr. Pantaleo ha parlato della prosecuzione dell’attività aziendale, regolata dall’art. 41, comma 1 ter, del Codice Antimafia e della sospensione dei contratti secondo il dettato dell’art. 56 stesso codice.

Sarebbe auspicabile, egli ha aggiunto, che sin dall’immissione in possesso, siano individuate le linee di credito del proposto, che ci sia coincidenza tra i dati contenuti nel decreto di sequestro e quelli esistenti nell’anagrafe della Banca in modo da evitare che si debba ricorrere ai decreti integrativi che vizierebbero tutta l’attività successiva svolta fino all’autorizzazione della prosecuzione dell’attività aziendale.

Il dr. Pantaleo ha fatto riferimento al sequestro di un grande gruppo disposto dal Tribunale di Reggio Calabria, composto da una pluralità di aziende. In tali casi, risulta fondamentale individuare tanto i rapporti contrattuali quanto i loro responsabili, così come individuare le garanzie che assistono il credito, che generalmente dovrebbero essere indicati nel decreto di sequestro.

L’art. 56 del Codice Antimafia prevede la sospensione dell’esecuzione dei rapporti pendenti e tale esigenza è finalizzata ad evitare che, in difetto di elementi conoscitivi, la prosecuzione ovvero l’automatica rescissione, nella fase immediatamente successiva al sequestro, possa pregiudicare il patrimonio oggetto del sequestro.

Secondo il disposto della norma, la misura cautelare ha come effetto quello di congelare i rapporti contrattuali in corso di esecuzione, non è consentita la tacita prosecuzione del rapporto.

Peraltro, la Banca non può risolvere il rapporto contrattuale fintantoché la legge consente all’Amministratore Giudiziario di decidere se subentrare o meno al rapporto.

Infatti, ai sensi dell’art. 56, comma 1, del Codice Antimafia, l’Amministratore Giudiziario dovrà dichiarare, entro sei mesi dall’immissione in possesso, previa autorizzazione del Giudice Delegato, la decisione di subentrare o meno nel contratto.

Il subentro comporterà l’assunzione degli obblighi contrattuali e la prosecuzione del rapporto esistente in continuità mentre la rinuncia comporterà la risoluzione del contratto con la conseguente cristallizzazione dell’esposizione debitoria alla data del sequestro.

In tale ultima ipotesi, occorrerà insinuarsi al passivo e attendere la verifica dei crediti antecedenti al sequestro con la prova della buona fede del creditore e successivamente si procederà alla segnalazione del credito alla Centrale Rischi secondo le modalità stabilite dalla circolare n. 139/2017 della Banca d’Italia.

L’Amministratore Giudiziario dovrà allegare alla proposta di prosecuzione o di ripresa dell’attività, ai sensi dell’art. 41, comma 1 ter, l’elenco nominativo dei creditori e di coloro che vantano diritti reali o personali, di godimento o di garanzia sui beni ai sensi dell’art. 57, comma 1, specificando i crediti che originano dai rapporti di cui all’art. 56, quelli che sono collegati a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell’attività e quelli che riguardano rapporti esauriti, non provati o non funzionali all’attività d’impresa.

Il dr. Pantaleo ha auspicato che le aziende sottratte alla criminalità organizzata e oggetto di sequestro possano continuare ad operare nel tessuto economico.

Sarebbe opportuno, qualora sussistano i presupposti, che si prosegua l’attività aziendale in modo così da tutelare tanto l’azienda quanto i lavoratori ed impedire di vanificare i risultati conseguiti con l’aggressione dei patrimoni di provenienza illecita a causa dell’inadeguata gestione del bene sequestrato.

Il dr. Pantaleo ha parlato di sottoscrizione di documenti d’intesa tra l’ABI e i Tribunali che vede partecipi i diversi protagonisti del procedimento attraverso i quali le banche sottoscrittici si impegnano a non revocare automaticamente le linee di credito non scadute, a centralizzare presso strutture specializzate la gestione delle pratiche afferenti i beni sequestrati e o confiscati, a nominare un referente della materia.

Sussistono diversi strumenti finanziari a sostegno delle imprese sequestrate e confiscate che mirano a consentirne la gestione e la valorizzazione e l’auspicio è che le aziende possano continuare a svolgere la loro attività nell’interesse dei lavoratori e del mercato in generale.

A conclusione del workshop, il dr. Varraso ha ritenuto fosse necessario fare un bilanciamento tra sequestri e confische e tutela del mercato, affermando che il sequestro e la confisca non devono mai prevalere sulla tutela del mercato.

Egli ha richiamato la giurisprudenza costituzionale e quella della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per affermare che anche in materia di confische è necessario applicare il principio di proporzionalità.

Tale principio è legato anche alla tutela dei diritti dei terzi creditori, principio che deve guidare sempre l’interprete in modo da non violarli.

Infatti, essendo la materia alquanto articolata, spesso, occorre prendere decisioni complesse rimesse al potere discrezionale. Discrezionalità significa responsabilità, e, quindi, comporta avere il coraggio di prendere decisioni spesso non facili e questo riguarda tutti i protagonisti che operano all’interno delle Amministrazioni Giudiziarie.

Nella buona sostanza, il principio di proporzionalità nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta il parametro fondamentale per sancire la legittimità dei limiti ai diritti e alle libertà riconosciuti e tutelati dalla CEDU. Questa, infatti, individua i diritti e le libertà condivisi tra gli Stati che hanno aderito alla stessa. Gli Stati che hanno aderito alla convenzione hanno però anche la facoltà di adottare misure restrittive all’esercizio dei diritti e delle libertà in essa tutelati al fine di perseguire gli obiettivi di interesse generale.

In tale contesto, il principio di proporzionalità viene utilizzato nella giurisprudenza della Corte europea per valutare il corretto bilanciamento nel rapporto tra le libertà fondamentali della Cedu e gli interessi pubblici che i singoli Stati vogliono perseguire.

Palermo 12 giugno 2019

Tutela dei terzi nel Codice Antimafia: novità normative e giurisprudenziali
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