a cura di Marcella Vulcano

Nella incantevole cornice del Palazzo delle Stelline a Milano, si è svolto il primo evento formativo di Advisora, intitolato “La Riforma del Codice antimafia: cosa cambia adesso?”.

È stata una sfida importante per la giovane associazione attesa la delicatezza della materia che è stata oggetto di un recentissimo e non poco contestato intervento del legislatore ad opera della L. n° 161 del 17 ottobre 2017 (pubblicata in G.U. n° 258 del 4 novembre 2017, entrata in vigore il 19 novembre 2017). Si tratta di una riforma sostanziosa i cui interventi vanno dalle modifiche al sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, alla riforma della disciplina dell’amministrazione, gestione e destinazione dei beni e del sistema di tutela dei terzi e che coinvolgono anche il codice penale e il codice di rito, il decreto sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti e la confisca c.d. allargata.

Dopo i saluti di indirizzo del Presidente di Advisora, Avv. Salvatore Leone Giunta, che ha presentato i fondatori dell’associazione e illustrato lo spirito che li anima e l’attività svolta per approfondire e divulgare la materia – nonché il sentito impegno nel sociale rivolto alla diffusione di una cultura della legalità e del corretto riutilizzo dei beni confiscati a partire dalle scuole – hanno portato i saluti dei rispettivi ordini professionali, il Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Avv. Andrea del Corno, delegato dal Presidente Avv. Remo Danovi e il Presidente della Commissione ausiliari del giudice, Dott. Renato Bissi, delegato dalla Presidente ODCEC Dott.ssa Marcella Caradonna.

La Tavola Rotonda è stata inaugurata da un moderatore d’eccezione, il Prof. Costantino Visconti, ordinario di diritto penale del Dipartimento Dems dell’Università di Palermo, la cui sapiente conduzione dei lavori ha consentito una discussione dinamica e piacevole degli argomenti trattati, un confronto costruttivo che ha fornito interessanti spunti di riflessione.

Di grande rilievo scientifico, ma con risvolti anche pratici, l’intervento del Procuratore Generale di Milano, Roberto Alfonso, sulle principali novità introdotte dalla riforma.

L’intervento del Procuratore Alfonso si è aperto con la prima fondamentale modifica al d. lgs. 159/2011, cd. Codice antimafia, che consiste nell’allargamento del perimetro dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. La novella aggiunge infatti al già esteso catalogo di fattispecie di c.d. pericolosità qualificata contenuto nell’art. 4 del codice antimafia anche:

– i soggetti indiziati del reato di assistenza agli associati ex art. 418 c.p. (cfr. lett. b dell’art. 4);

– le persone che abbiano posto in essere atti esecutivi – e non più, dunque, solamente preparatori – diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati indicati alla lett. d) dell’art. 4 del codice antimafia, tra cui figurano anche i reati con finalità di terrorismo (e la medesima estensione agli “atti esecutivi” è inserita anche alla lett. f relativa alla ricostituzione del partito fascista);

– i soggetti indiziati del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis c.p. (cfr. nuova lett. i-bis dell’art. 4);

– gli indiziati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di numerosi reati contro la pubblica amministrazione, e in particolare di taluno dei delitti di cui agli articoli 314 comma 1 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 319-quater (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 321 (pene per il corruttore), 322 (istigazione alla corruzione) e 322-bis c.p. (cfr. nuova lett. i-bis dell’art. 4)

– i soggetti indiziati di stalking ex art. 612-bis c.p. (cfr. nuova lett. i-ter dell’art. 4)

Si noti che a differenza di quanto si leggeva nel testo approvato in prima lettura dalla Camera, la versione definitiva della riforma accoglie gli emendamenti del Senato, in forza dei quali l’applicazione del sistema della prevenzione in materia di reati contro la P.A. viene “limitata” ai casi in cui questi siano commessi in forma associativa ex art. 416 c.p., e non individuale.

Il Procuratore ha poi proseguito con la trattazione delle modifiche all’art. 17 del Codice antimafia, a norma del quale titolari della proposta della misura di prevenzione patrimoniale sono:

  • il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto dove dimora la persona socialmente pericolosa;
  • il questore territorialmente competente;
  • il direttore della DIA territorialmente competente;
  • il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo che può proporre la misura patrimoniale dinanzi a qualsiasi tribunale;
  • il procuratore della Repubblica del tribunale nel cui circondario dimora la persona, previo coordinamento con il procuratore distrettuale, nel caso di applicazione rivolta ai c.d. pericolosi generici di cui all’art. 1 o alle persone indiziate di cui alle nuove lett. i-bise i-ter dell’art. 4 (“le funzioni e le competenze spettanti al procuratore distrettuale sono attribuite anche al procuratore della Repubblica del tribunale nel cui circondario dimora la persona”, co. 2).

Con l’introduzione del co. 3-bis all’art. 17 il legislatore, per evitare gli inconvenienti che potrebbero derivare dal fatto che più autorità possono presentare proposta di misura patrimoniale a carico delle stesse persone e dinanzi allo stesso tribunale, prevede il coordinamento delle autorità competenti sul territorio e incarica il procuratore distrettuale – attraverso il raccordo con il questore e il direttore della DIA – di curare che l’applicazione delle misure patrimoniali non rechi intralcio ad altre indagini in corso. A tal fine in capo al questore competente e al direttore della DIA sono assegnati precisi obblighi informativi verso il procuratore distrettuale.

Il Procuratore Roberto Alfonso ha concluso con una lectio magistralis sulle varie tipologie di misure reali sui beni aziendali, con cenni ai progressi verso un giusto procedimento di prevenzione.

È intervenuto poi il Professore Costantino Visconti con un interessante focus su uno dei temi centrali della riforma, ossia quello della tutela dei terzi creditori. Si tratta di un settore nevralgico sia dal punto di vista giuridico che socio-economico, atteso che un approccio non ben ponderato rischia di arrecare danni al tessuto civile in cui risulta insediata l’azienda sequestrata e alle stesse prospettive di prosecuzione dell’attività d’impresa. Per tale motivo, sul tema della tutela dei terzi il legislatore è intervenuto a modificare numerose disposizioni, tra cui l’art. 52, contenente le disposizioni generali relative alla tutela dei terzi; l’art. 53, sul limite della garanzia patrimoniale; il nuovo art. 54-bis  dedicato al pagamento di debiti anteriori al sequestro, a norma del quale il giudice delegato può autorizzare il pagamento di prestazioni di beni o servizi avvenuti in data anteriore al sequestro stesso qualora tali prestazioni siano collegate a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell’attività; l’art. 55, relativo alle azioni esecutive; l’art. 56, dedicato ai rapporti pendenti, in base al quale per i contratti in tutto o in parte da eseguire, il giudice delegato può, subito dopo il sequestro, autorizzare l’amministratore a subentrare nella posizione di prevenuto ovvero a risolvere il rapporto. Tali disposizioni si inseriscono nella scia di una più rapida tutela dei terzi e del superamento della farraginosità ed indeterminatezza temporale più volte denunciate nelle procedure di accertamento della buona fede dei creditori.

Il Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, Fabio Roia, ha efficacemente argomentato sulle “evoluzioni” del testo del codice finalizzate a garantire la sopravvivenza delle aziende staggite, con una approfondita disamina su presupposti, scopi e differenze degli istituiti della “Amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche” di cui all’art. 34 del codice antimafia, integralmente sostituito dalla riforma e del “Controllo giudiziario delle aziende” introdotto dal nuovo art. 34-bis, istituto destinato a trovare applicazione in luogo del primo laddove l’agevolazione dell’attività delle persone proposte o soggette a misure di prevenzione conseguente all’esercizio dell’attività aziendale “risulta occasionale e sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose” idonee a condizionare l’attività di impresa.

Il Presidente Roia ha poi concluso sottolineando una novità centrale della riforma ossia l’esplicito riferimento, contenuto nell’art. 24 del Codice che disciplina la confisca di prevenzione, alla impossibilità per il proposto di giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego di evasione fiscale. Tale previsione – che viene contestualmente introdotta anche in relazione alla confisca c.d. allargata di cui all’art. 12-sexies d.l. 306/1992 – è evidentemente diretta a positivizzare un orientamento che, dopo alcuni contrasti giurisprudenziali, è andato consolidandosi nel diritto vivente, soprattutto in seguito alla nota sentenza Repaci delle Sezioni Unite.

Il dottor Roberto Paese, commercialista ed amministratore giudiziario, ha dato un utilissimo e molto apprezzato taglio pratico alla tavola rotonda argomentando sulle incisive modifiche apportate al codice antimafia relative all’amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Consistenti novità, infatti, sono state introdotte dal legislatore attraverso le modifiche all’art. 35, in tema di nomina e revoca dell’amministratore giudiziario, all’art. 36 sulla relazione dell’amministratore giudiziario e all’art. 37, sui compiti di quest’ultimo. Importanti modifiche sono state apportate anche alla disciplina relativa alla gestione dei beni sequestrati e confiscati con la revisione dell’art. 40, sulla gestione dei beni sequestrati, dell’art. 41, specificamente rivolto alla gestione delle aziende sequestrate e dell’art. 43 sul rendiconto di gestione. Sono poi stati aggiunti gli artt. 41-bis (che si occupa degli strumenti finanziari per la gestione e la valorizzazione delle aziende sequestrate e confiscate), 41-ter (che istituisce tavoli provinciali permanenti sulle aziende sequestrate e confiscate, presso le prefetture-uffici territoriali del Governo) e 41-quater (che prevede attività di supporto tecnico delle aziende sequestrate e confiscate).

Molto efficace l’intervento del Gip di Napoli Livia De Gennaro che ha illustrato le difficoltà che incontra un giudice monocratico nella gestione dei beni e aziende in sequestro rispetto al giudice delegato delle misure di prevenzione e il delicato ruolo dell’amministratore giudiziario, quale facilitatore all’interno della procedura. Ha poi evidenziato l’importanza della fase iniziale del sequestro. È in questa fase, infatti, che si decide il destino dell’azienda staggita. In questo brevissimo segmento temporale l’amministratore giudiziario deve mettere in campo abilità e competenze per effettuare un serio screening dell’attività imprenditoriale all’esito del quale dovrà formulare un analitico business plan (laddove ne ricorrano i presupposti tecnico-economici) che il tribunale, in camera di consiglio, nel contraddittorio delle parti, deciderà con decreto motivato se approvare o meno e, nell’affermativa, impartirà le direttive per la gestione dell’impresa.

La presenza al tavolo dello specialista della crisi d’impresa Avv. Fabio Cesare, fondatore Advisora, è stata l’occasione per trattare il tema della compatibilità delle misure reali con le procedure fallimentari o pre-fallimentari. L’Avv. Cesare ha evidenziato come il legislatore della riforma del codice antimafia abbia messo al centro del suo intervento la continuità di impresa, con il chiaro intento di evitare che l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale induca il tessuto imprenditoriale circostante a percepire l’intervento dello Stato non come una azione di riconduzione dell’impresa nel circuito della legalità, bensì come un intervento demolitore, distruttivo di valore. Invero, sono numerose le imprese sequestrate che falliscono. A tale proposito va chiarito, però, che non tutte le aziende staggite sono in grado di restare in piedi, buona parte di esse, infatti, una volta reciso il legame con il crimine organizzato, perdono quei distorti vantaggi competitivi che consentivano loro di stare sul mercato. Per tali motivi, nella recente riforma del codice antimafia, la continuità è stata oggetto di diverse misure che accompagnano l’amministratore giudiziario nella formulazione di un’ipotesi prioritaria di prosecuzione dell’attività di impresa. Tra le novità più importanti la riscrittura dell’art. 41 che disciplina la fase cruciale della vita aziendale, ossia i primi mesi del sequestro, fase in cui, come già evidenziato dal Gip De Gennaro, si decidono le sorti dell’azienda.

Sempre nel solco della preminenza della continuità aziendale la riforma ha introdotto il comma 8-bis dell’art. 63, a norma del quale l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del tribunale, ove siano stati sequestrati complessi aziendali e produttivi o partecipazioni societarie di maggioranza, può presentare al tribunale fallimentare competente, prima che intervenga la confisca definitiva: domanda per l’ammissione al concordato preventivo; un accordo di ristrutturazione dei debiti; un piano attestato da un revisore legale idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e che può prevedere, se finalizzato al mantenimento dell’azienda e dei suoi livelli occupazionali, la vendita dei beni sequestrati anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 48 del codice antimafia. Dunque l’amministratore giudiziario, che prima della riforma nel compito di conservare ed aumentare la redditività dell’impresa aveva un ruolo dal perimetro incerto, è oggi ammesso all’utilizzo di tutti gli strumenti di gestione della crisi, che si aggiungono al potere di segnalazione della condizione di insolvenza da cui derivi la sentenza di fallimento.

Permangono le difficoltà di coordinamento tra legge fallimentare e misure di prevenzione, che possono risultare difficoltose ove non si acceda alla tesi della prevalenza delle disposizione del codice antimafia sulla legge fallimentare, che potrebbe evitare l’accesso ad un percorso di ristrutturazione del debito reso più difficoltoso da un regime di doppia autorizzazione.

Sono, infine, assenti nella nuova legge i richiami al sovraindebitamento e alle misure di allerta che saranno introdotte dalla imminente riforma fallimentare allo scopo di anticipare l’emersione della crisi: si tratta di uno strumento stragiudiziale e confidenziale di sostegno alle imprese, diretto a una rapida analisi delle cause del malessere economico e finanziario delle stesse, destinato a sfociare in un servizio di composizione assistita della crisi. In caso di mancata collaborazione dell’imprenditore la fase di allerta sfocia in una dichiarazione pubblica di crisi. È evidente che tali misure dovranno necessariamente essere prese in considerazione anche nell’ambito delle misure di prevenzione patrimoniali e che saranno quindi oggetto di un successivo intervento di modifica del codice antimafia.

In conclusione, il prestigioso panel di relatori, la loro diversa profilazione e l’abilità di moderazione del prof. Costantino Visconti, hanno fatto emergere le criticità evintesi nella direzione e nell’amministrazione giudiziaria di aziende ed hanno consentito un interessante dibattito circa il superamento o meno di siffatte criticità da parte del recente intervento del legislatore.

Milano, 1 dicembre 2017

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Tavola Rotonda – La Riforma del Codice Antimafia: Cosa cambia adesso?
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