a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Penale, sentenza n. 25348 del 14.05.2025 depositata il 09.07.2025
La Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25348 depositata il 9 luglio 2025, ha precisato che, in tema di autoriciclaggio, rientra tra le condotte idonee a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro anche la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tantundem, nonché qualsiasi trasferimento di fondi da un conto corrente bancario acceso presso un differente istituto di credito.
La questione trae origine da un ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro che aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Vibo Valentia che aveva condannato l’imputato per il reato di autoriciclaggio. Nel ricorso per cassazione, l’imputato ha affermato che tutti gli investimenti effettuati tramite il proprio conto corrente erano integralmente tracciabili. Di conseguenza, il successivo trasferimento delle somme in un conto deposito titoli non avrebbe determinato alcuna variazione della titolarità formale né una nuova immissione nel circuito economico, risultando quindi inidoneo a compromettere l’identificazione della provenienza del denaro.
La Suprema Corte ha rilevato che le plurime ed articolate movimentazioni finanziarie attuate, con il palese intento di ricavarne un profitto (impiego di fondi illeciti nell’acquisto di titoli azionari, trasferimento dei titoli da un conto deposito di un istituto di credito ad un altro istituto di credito, utilizzo dei profitti di tali operazioni in operazioni di compravendita immobiliare), risultano connotate dalla sistematica e sempre più sfuggente trasformazione della iniziale e consistente somma di denaro attraverso una sostanziale reimmissione del denaro di provenienza delittuosa nel circuito economico-finanziario finalizzata ad ottenere quel concreto effetto dissimulatorio che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile). Ne consegue l’irrilevanza dell’identità soggettiva del titolare del denaro e della mancanza di dispersione o spendita dello stesso, evidenziate della difesa.
Secondo la Suprema Corte, i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in una ‘doppia conforme’, hanno correttamente ritenuto che il ricorrente abbia impresso al denaro di provenienza delittuosa una “destinazione speculativa” in presenza di forme di investimento del provento del reato di appropriazione indebita diverse dal mero godimento personale di tali somme. In particolare, è stato evidenziato come il ricorrente, lungi dal trattenere per sé il denaro di provenienza illecita limitandosi ad un uso personale, abbia invece deliberatamente scelto di investirlo nella prospettiva di trarne un ritorno economico. Deve essere in proposito notato che il legislatore, con ampia formulazione del testo dell’art. 648-ter.1 c.p., ha inteso perseguire, mediante l’utilizzo delle ampie locuzioni citate (attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative), qualsiasi forma di reimmissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale attuata mediante condotte che, come nel caso di specie, ostacolino concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa.
Il riferimento all’attività speculativa – espressione che il legislatore ha intenzionalmente lasciato priva di una definizione rigidamente tipizzata – ricomprende, pertanto, una vasta gamma di comportamenti, accomunati dalla volontà di conseguire un profitto attraverso un’analisi razionale e consapevole delle variabili economiche in gioco, secondo una logica costi/benefici, tale da determinare un’alterazione del normale funzionamento del mercato ed un’infiltrazione dell’economia legale attraverso la pulitura di capitali dei quali il reo vuole rendere non più conoscibile la provenienza delittuosa.