a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, sentenza n. 22902 del 11.03.2025 depositata il 18.06.2025
La Sezione Terza Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22902 depositata il 18 giugno 2025, ha stabilito che, in tema di ammissione allo stato passivo nell’ambito delle procedure di prevenzione patrimoniale, l’attività difensiva svolta da un avvocato in favore dell’amministratore di una società, imputato in procedimenti penali per reati commessi nell’esercizio delle funzioni gestorie, non si presume riferibile alla società stessa. Affinché il relativo credito professionale possa essere ammesso come debito sociale, è necessario che siano provati l’esistenza di un mandato conferito dall’organo societario e l’interesse della società alla difesa del proprio legale rappresentante, non essendo sufficiente l’allegazione di dichiarazioni unilaterali dei soggetti coinvolti.
Al vaglio della Suprema Corte è giunto un ricorso in Cassazione avverso il decreto del Tribunale di Pistoia, il quale aveva rigettato le opposizioni degli avvocati (…) e (…). Tali opposizioni miravano a contestare l’esclusione dei loro crediti dallo stato passivo nella procedura di liquidazione dei beni della società (…) s.r.l., disposta dal G.I.P. del medesimo Tribunale.
Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo cui il potere di rappresentanza conferito all’amministratore di società non implica l’automatica riferibilità a quest’ultima di ogni attività posta in essere, occorrendo a tal fine che detta attività rientri tra quelle di gestione, previste dall’art. 2380-bis c.c. Ne deriva che la difesa personale dell’amministratore nell’ambito di un procedimento penale, per quanto relativo a reato commesso nell’esercizio del potere gestorio dell’ente, non è automaticamente riferibile alla società, non comportando un’obbligazione ex lege.
Perché il credito professionale di un avvocato possa essere ammesso come debito sociale, è indispensabile che sia provata l’esistenza di un mandato conferito dall’organo societario e che vi sia un interesse della società alla difesa del proprio legale rappresentante. Non sono sufficienti mere dichiarazioni unilaterali dei soggetti coinvolti, specialmente se provenienti da soggetti con un interesse contrario a quello della società. La Cassazione ha sottolineato che non è compito della società sostenere le spese legali derivanti da condotte illecite degli amministratori, in quanto tali condotte esulano dal rapporto di mandato e dall’interesse societario.
Secondo la Suprema Corte, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora venga presentata domanda di ammissione allo stato passivo da parte del terzo creditore, il tribunale è tenuto, in ordine logico, a verificare “in primis” il nesso di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto e, solo all’esito, gli elementi dimostrativi di buona fede addotti dal creditore, anche alla luce dei parametri indicati dal comma 3 dell’art. 52 d.lgs. n. 159/2011 (Cass., Sez. VI, n. 12510 del 02.02.2022). È stato ulteriormente chiarito che, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, l’art. 52, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 esclude ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro, “a meno che” non risulti accertata la strumentalità del credito da insinuare rispetto all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, solo in tal caso incombendo sul creditore, ai fini dell’insinuazione al passivo della procedura, l’onere di dimostrare l’ignoranza in buona fede di tale nesso di strumentalità privilegiata.