a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, sentenza n. 22082 del 15.05.2025 depositata il 12.06.2025
La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22082 depositata il 12 giugno 2025, ha cassato senza rinvio la decisione dei giudici di merito stabilendo che anche sulla s.r.l. unipersonale possono gravare le sanzioni pecuniarie previste dal d.lgs. n. 231/2001.
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Trieste che, in riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia, aveva riqualificato il fatto di cui al capo c) ai sensi dell’art. 25-undeces, comma 2 lett. b) n. 1) e 2), d.lgs. n. 231/2001 e, riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 12, comma 1 lett. b), della stessa legge, aveva rideterminato la pena inflitta alla società ricorrente in quella di 75 quote da €. 300,00, mentre aveva dichiarato l’improcedibilità per intervenuta prescrizione dei reati a carico del legale rappresentante della società. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la (…) s.r.l., denunciando in particolare la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 231/2001 per “insussistenza di un interesse e/o vantaggio in favore dell’Ente”, nonché il vizio di motivazione ed il travisamento della prova.
Con la sentenza in esame, gli Ermellini hanno riconosciuto che l’applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 alle società di capitali unipersonali è un tema delicato in quanto, in caso di ridotte dimensioni dell’azienda, qualora sussista una piena identificazione tra gli interessi personali della persona fisica e l’ente, vi è il concreto rischio di duplicazione della sanzione nei confronti del medesimo soggetto.
Ha ricordato la Cassazione che la giurisprudenza di legittimità ammette l’inclusione tra i destinatari della disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/2001 delle società unipersonali “a condizione che sia individuabile un interesse sociale distinto da quello della società, dell’attività svolta e delle dimensioni dell’impresa nonché dei rapporti tra socio unico e società” (Cass., Sez. VI, n. 45100 del 16.02.2021).
Il processo inferenziale attraverso cui si perviene al riconoscimento dell’esistenza di una dualità soggettiva fra ente e persona fisica si ha dimostrando che l’ente è connotato da interessi propri, da un’organizzazione articolata e da un patrimonio consistente che lo rendono un soggetto economico e giuridico differente dalla persona fisica che lo amministra e che detiene il capitale.
Nel caso esaminato, la Cassazione ha precisato che la Corte territoriale aveva correttamente valorizzato il numero di dipendenti della società e l’organizzazione aziendale tutt’altro rudimentale e inconsistente, come comprovato dal numero stesso dei dipendenti e dal valore dei beni che compongono il patrimonio sociale.