A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 6118 del 22.06.2023

La Sezione Terza del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6118 del 2023, nel respingere l’appello avverso una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio concernente lo scioglimento degli organi comunali ex art. 143 d.lgs. n. 267/2000, ha ricordato che i vincoli parentali non hanno di per sé alcuna rilevanza se non vengono dimostrati comportamenti di collusione o di particolare frequentazione tra gli amministratori ed i loro parenti, tali da condizionare l’attività amministrativa.

Nella motivazione della sentenza si afferma che è vero che i legami di parentela o affinità con soggetti controindicati non possono fondare presunzioni di complicità o condizionamento, tuttavia, non può trascurarsi quanto affermato dalla giurisprudenza della medesima Sezione III (a proposito delle interdittive antimafia, ma con valenza di principio generale per quanto attiene al significato desumibile dalle circostanze rilevanti ai fini della permeabilità da parte della criminalità organizzata) sulla rilevanza sintomatica accessoria del contesto ambientale e parentale. In particolare, il Consiglio di Stato ricorda che è stato recentemente ribadito che: l’Amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata; tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l’organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello “clanico”, che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, pur se nolente, l’influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell’associazione; a comprovare la verosimiglianza di tale pericolo hanno rilevanza sia circostanze obiettive, come la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti che pur non abbiano dato luogo a condanne, sia le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza su un’area più o meno estesa del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti; il puntuale riferimento ai vincoli familiari con soggetti controindicati, richiamati nei provvedimenti prefettizi, non esprime, dunque, alcuna presunzione tesa ad affermare che il legame parentale implica necessariamente la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, ma vale a descrivere la situazione, concreta ed attuale, nella quale l’impresa si trova ad operare; la rilevanza sintomatica di tali legami può risultare ulteriormente corroborata, oltre che dai caratteri ad essa intrinseci o estrinseci sin qui riepilogati, anche dal fatto che la parte ricorrente, una volta messa a parte della misura interdittiva, non abbia dato prova di alcuna sua scelta di allontanarsi o di emanciparsi dal contesto familiare di riferimento (Cons. Stato, Sez. III, n. 8763/2022).


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I LEGAMI DI PARENTELA O AFFINITA’ CON SOGGETTI CONTROINDICATI NON POSSONO FONDARE PRESUNZIONI DI COMPLICITA’ O CONDIZIONAMENTO

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