a cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione Terza, sentenza n. 184 del 28.11.2024 depositata il 13.01.2025
La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 184 depositata il 13 gennaio 2025, si è pronunciata in tema di adozione dell’interdittiva antimafia e legami familiari.
La questione sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato riguarda un ricorso in appello per la riforma della sentenza del T.A.R. di Napoli che aveva respinto il ricorso avverso l’interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Napoli ed i conseguenti provvedimenti dell’ANAC di inserimento nel Casellario degli OO.EE del Comune di (…) e di decadenza dalla SCIA per il commercio on line, al dettaglio ed all’ingrosso.
Secondo il Consiglio di Stato, sul punto va, innanzitutto, osservato che la giurisprudenza è ormai assestata nel ritenere che i provvedimenti interdittivi possano essere fondati solo sui rapporti di parentela laddove gli stessi assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare ed una gestione collettiva dell’impresa nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia c.d. “clanica” (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 26 agosto 2024, n. 7230). Tuttavia, in punto di rilevanza delle relazioni familiari, va considerato che le stesse costituiscono in primo luogo un dato storico che forma la premessa minore di un’inferenza calibrata sulla massima d’esperienza secondo cui i vincoli familiari espongono il soggetto all’influenza del terzo. A ciò va necessariamente aggiunto che l’attendibilità, in concreto, della deduzione dipende anche da una serie di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo ed il contesto in cui si inserisce (in questi termini, ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 28 giugno 2017 n. 3173). In sostanza, i rapporti di parentela sono rilevanti quando, per numero e qualità, risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata, soprattutto in contesti territoriali ed economici notoriamente esposti al pericolo di inquinamento mafioso. Tali relazioni familiari sono, poi, da collocare nell’ambito delle caratteristiche dell’informativa antimafia, che implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa (pericolo che deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza “oltre ogni ragionevole dubbio”, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa. Tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2023, n. 5964; Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2023, n. 5024; Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8882; Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105; Cons. Stato, Sez. III, 20 febbraio 2019, n. 1182). Per quanto l’adozione del provvedimento interdittivo si fondi sull’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, così come indica la clausola di legge aperta (art. 94, comma 1, d.lgs. n. 159/2011), la relativa disciplina non costituisce una “norma in bianco”, né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino ed insindacabile per il giudice, soprattutto quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quali quelli indicati dall’art. 84, comma 4, lett. a – f, d.lgs. n. 159/2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, segna la portata della sua discrezionalità, da intendersi non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione, sempre secondo corretti canoni di inferenza logica. Il giudice amministrativo è, perciò, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. D’altra parte, la stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 57 del 26 marzo 2020) ha fatto riferimento ad alcune situazioni indiziarie che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale di cui il giudice amministrativo deve tener conto. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 159/2011; i rapporti di parentela, laddove, come detto, assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. Nello specifico della rilevanza dei rapporti di parentela, per potersi desumere il “contagio” è necessario, quindi, che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di relazione siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i vari componenti della famiglia. In concreto, è necessario che vi sia una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dall’intensità dei vincoli o delle relazioni commerciali. Qualora, invece, l’esame dei contatti familiari si riveli “normale”, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia.