a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Civile, ordinanza n. 30529 depositata il 27.11.2024

La Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30529 depositata il 27 novembre 2024, ha affermato il principio secondo cui, in tema di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, se il provvedimento si arresta alla fase dell’inammissibilità della proposta non si ha decisione su diritti contrapposti e, dunque, non si è in presenza di un provvedimento avente il connotato di decisorietà necessario ai fini del ricorso straordinario di cui all’art. 111 Cost; se, invece, il provvedimento riguarda il reclamo sul diniego di omologazione, allora la situazione muta radicalmente, perché quel provvedimento integra una decisione su diritti soggettivi contrapposti resa nel contraddittorio e diviene, come tale, suscettibile di stabilizzazione equipollente ad un giudicato c.d. allo stato degli atti.

La questione sottoposta alla Suprema Corte riguarda un reclamo proposto avverso il decreto del giudice delegato del Tribunale di Padova che aveva dichiarato inammissibile la domanda di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento. A seguito del rigetto veniva presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi: 1) violazione o falsa applicazione degli artt. 7 e 10 l. n. 3/2012, perché, una volta adottato il decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 10, il giudice non può dichiarare l’inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti di cui all’art. 7; 2) violazione o falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 12, non potendo equipararsi l’accordo di ristrutturazione e il piano del consumatore ai fini della percentuale minima di pagamento dei crediti; 3) violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 2, lett. d-quater, in quanto gli atti compiuti dal debitore non potrebbero essere considerati “in frode” ai creditori nel senso indicato dalla norma.

Gli Ermellini hanno ricordato che la stessa Corte si è già occupata del tema del ricorso straordinario sia a proposito del piano del consumatore, sia in relazione agli altri strumenti di composizione (piani di sovraindebitamento e, come nella specie, accordi di ristrutturazione dei debiti). Una inziale tesi ha negato l’accesso al ricorso straordinario per tutti i decreti adottati nella materia che qui rileva in quanto non è precluso al debitore di proporre altro e diverso accordo o piano di ristrutturazione dei suoi debiti, sicché, essendo privo dei caratteri della decisorietà e definitività, il decreto non è ricorribile per cassazione. Altre decisioni hanno reso il principio per cui “è ammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto di rigetto del reclamo proposto nei confronti del provvedimento con cui il tribunale, in composizione monocratica, abbia respinto l’istanza di omologazione del piano proposto dal consumatore nell’ambito della procedura di sovraindebitamento in quanto provvedimento dotato del requisito della definitività e di quello della decisorietà”. Quindi, un indirizzo riconosce il diritto di presentare un nuovo piano o proposta in seguito al rifiuto iniziale, mentre un secondo approccio limita questa possibilità alla decisione di respingere la dichiarazione di inammissibilità della proposta o del piano, considerati sempre riproponibili.

Da ultimo, la Suprema Corte ha sottolineato la più moderna visione del concetto di «decisorietà» via via affrancato dalla nozione identificativa originaria di attitudine al giudicato sostanziale. Come osservato dalle Sezioni Unite, la decisorietà è concetto tradizionalmente imperniato sull’idoneità del provvedimento al giudicato in ordine alla situazione soggettiva coinvolta, quale che sia la forma del provvedimento stesso, purché codesto sia altresì definitivo, vale a dire insuscettibile di distinta impugnazione e non destinato a essere assorbito in un provvedimento ulteriore a sua volta impugnabile. Ciò conduce a ravvisare la caratteristica della decisorietà anche in distinte fattispecie non allineate al modello ordinario di processo, fino a indurre alla tesi che “la decisorietà, dunque, consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato che è un effetto tipico della giurisdizione contenziosa”. È giurisdizione contenziosa non (tanto) quella che si realizza necessariamente nel processo (ordinario o speciale) di cognizione, quanto (piuttosto) quella “che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti contrapposte, chiamate (…) a confrontarsi in contraddittorio nel processo”. Mentre, se il provvedimento al quale la fase procedimentale è preordinata non costituisce espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui ciascuna tende all’accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell’altra, esso non può avere contenuto sostanziale di sentenza, né carattere decisorio, finanche ove non sia suscettibile di alcuna forma di impugnazione. Gli approcci descritti mirano a conciliare la giurisdizione contenziosa con la tutela dei diritti soggettivi, conferendo importanza alla stabilità ed efficacia delle decisioni giudiziali.


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IL CONCETTO DI «DECISORIETA’» NEGLI ACCORDI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO

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