A cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione IV Penale, ud. 10 febbraio 2023, sentenza n. 10143/2023 (dep. 10 marzo 2023)

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10143/2023, nel dichiarare inammissibile il ricorso ha confermato come, in tema di responsabilità da reato ex d.lgs. n. 231/2001, all’assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest’ultimo non consegua automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 231/2001, deve essere affermata anche nel caso in cui l’autore del suddetto reato non sia stato identificato.

Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione riguardava la dichiarata inammissibilità da parte della Corte d’Appello di Campobasso di un’istanza di revisione ex art. 73 d.lgs. n. 231/2001 di una sentenza di patteggiamento, divenuta irrevocabile, pronunciata nei confronti di una società per un episodio di lesioni personali colpose. L’istanza veniva proposta dalla società ricorrente per la risoluzione del conflitto, ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., tra la sentenza di patteggiamento n. (…) del Tribunale di Pescara, pronunciata nei confronti dell’ente, e la sentenza n. (…), pronunciata nei confronti degli imputati-persone fisiche, i quali erano mandati assolti dal reato di cui all’art. 590, comma 3, c.p. per insussistenza del fatto. La Corte territoriale rigettava l’istanza rilevando la mancanza dei presupposti per la revisione che richiede infatti l’inconciliabilità dei fatti storici stabiliti a fondamento delle due sentenze. La società proponeva ricorso per Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, seguendo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di revisione non può essere fondato sull’incompatibilità di due giudicati, a meno che tale incompatibilità riguardi il fatto storico. In tema di revisione, infatti, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte l’inconciliabilità non si riferisce ai fatti posti a fondamento della sentenza di condanna ma il fatto storico è rappresentato dall’esistenza di un infortunio occorso sul luogo di lavoro ad un dipendente della società. Nella sentenza di assoluzione delle due persone fisiche coinvolte, non si è negato il fatto, ma si è escluso che i due imputati rivestissero una posizione di garanzia.

Il Supremo Collegio, dichiarando inammissibile il ricorso, ha affermato il principio di diritto secondo cui «in caso di revisione della sentenza avente ad oggetto la responsabilità dell’ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, per contrasto di giudicato – art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. – ove in separato giudizio si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata, discendendo la inconciliabilità del giudicato solo dalla negazione del fatto storico e non anche dalla mancata individuazione della persona fisica del suo autore. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 231/2001, la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato».


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LA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE EX D.LGS N. 231/2001 SUSSISTE ANCHE IN CASO DI ASSOLUZIONE DELLA PERSONA FISICA PER IL REATO PRESUPPOSTO

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